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Un progetto dimostra la fattibilità di un approccio sostenibile che soddisfa i vari stakeholder
Fermare il declino della seppia comune (Sepia officinalis) nel Mare Adriatico settentrionale e optare per una gestione sostenibile della pesca è tanto possibile quanto desiderabile. È quanto sostiene una ricerca, pubblicata su Fisheries Research, incentrata su un Programma di Miglioramento della Pesca (Fishery Improvement Programme, FIP) portato avanti nel periodo 2021-2022 e risultato gradito a tutti gli stakeholder coinvolti.

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Le peculiarità della pesca artigianale
Lo studio ha analizzato l’impatto della pesca artigianale di Chioggia, una delle più rilevanti del Mediterraneo, che opera sia in mare che nella Laguna di Venezia. Con l’espressione “pesca artigianale” ci si riferisce a una flotta di pescherecci di piccole dimensioni che operano principalmente entro un raggio di 12 miglia nautiche dalla costa e che si caratterizza per alcuni aspetti: le imbarcazioni sono a conduzione familiare o di proprietà; le battute di pesca sono brevi; la pesca si adatta alla stagionalità delle risorse ittiche, modificando le specie target in base alla loro disponibilità; e gli attrezzi da pesca utilizzati sono passivi (reti da posta, nasse e trappole mobili chiamate cogolli, che catturano le specie bersaglio sfruttando i loro movimenti naturali o le correnti marine).
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La seppia, un animale delicato
La specie interessata dallo studio, la seppia comune, è particolarmente danneggiata dalla pesca eccessiva: il suo periodo riproduttivo e l’alto valore commerciale sono cause primarie della sua vulnerabilità.
Il primo aspetto si manifesta durante la primavera e l’estate, quando le femmine di seppia migrano verso la costa e le lagune per deporre le uova in acque poco profonde. Questo comportamento le rende facilmente individuabili e catturabili dai pescatori che utilizzano attrezzi passivi come reti da posta, nasse e cogolli. E c’è di più: le femmine di seppia tendono a deporre le uova su qualsiasi substrato disponibile, inclusi gli attrezzi da pesca come le nasse e i cogolli. I pescatori, per evitare di compromettere l’efficienza della pesca, sono costretti a rimuoverle regolarmente, con la conseguente distruzione di milioni di uova ogni anno. Questo impatto è stato quantificato in oltre tre milioni di uova scartate in sole tre miglia di costa nell’area veneziana. Il secondo aspetto va ricondotto al valore commerciale dei giovani: questi esemplari sono considerati una prelibatezza e raggiungono prezzi elevati sul mercato – cosa che li rende un bersaglio ambito sia per la pesca artigianale che per quella ricreativa, aumentando la pressione sulla popolazione giovanile.

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Il FIP: un programma in tre tappe verso la sostenibilità
Negli ultimi anni, il numero di seppie è costantemente diminuito. Il FIP descritto nello studio, pensato per mitigare l’impatto della pesca e migliorare la qualità e la sostenibilità dei prodotti, coinvolgendo pescatori e stakeholder, è stato organizzato secondo tre unità funzionali. Per ovviare alla perdita di uova, sono stati testati collettori interni ed esterni come substrato alternativo per la loro deposizione, sia in mare che in laguna. In mare, i collettori esterni erano composti da una corda di canapa lunga 40 metri ancorata al fondale, con pezzi di corda più corti e tappi di sughero ogni due metri per favorire la deposizione delle uova. In laguna, consistevano in fasci di alloro legati ad un mattone per l’ancoraggio, con corde di canapa e tappi di sughero. La scelta dell’alloro è stata suggerita dai pescatori, che in passato lo utilizzavano per aumentare le catture di seppie. Un ulteriore tentativo è stato fatto con collettori interni, ovvero posizionando corde di canapa anche all’interno delle nasse da pesca, per offrire un substrato alternativo all’interno della trappola stessa. I risultati hanno dimostrato che i collettori posizionati vicino agli attrezzi da pesca hanno avuto successo nel promuovere la deposizione e la schiusa delle uova.
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Diete da seppia
In seconda battuta, le uova recuperate dagli attrezzi da pesca sono state portate a schiudersi. Sui giovani esemplari sono state quindi testate diverse diete: artificiale, naturale e mista. Quella artificiale, a base di nauplii di Artemia salina, non ha sortito grandi successi. Quella naturale (composta da piccoli crostacei raccolti nella Laguna di Venezia) e quella mista (una combinazione delle due diete precedenti), simili a quella che i giovani di seppia assumerebbero in natura, hanno mostrato buoni tassi di crescita e di sopravvivenza.
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Il successo della vendita diretta
In ultimo, per valorizzare il pescato proveniente da una pesca responsabile e incentivare l’adozione di pratiche sostenibili, è stata testata una filiera di approvvigionamento su piccola scala che prevede l’etichettatura delle seppie pescate dai pescatori che utilizzano i collettori di uova. Con loro, è stato ridotto il numero di passaggi intermedi (come grossisti o distributori) per creare un legame diretto tra pescatori e consumatori. Sebbene l’interesse iniziale dei rivenditori e dei ristoranti sia stato basso, il pubblico ha mostrato un forte interesse per un prodotto fresco e di alta qualità, e si è dimostrato disponibile a pagare prezzi più elevati per le seppie certificate come provenienti da una pesca sostenibile e tracciabile. Disponibilità è giunta anche dai pescatori artigianali di Chioggia, direttamente coinvolti nel progetto, per i quali mitigare la perdita delle uova e abbinarla alla possibilità di etichettare il pescato come sostenibile (e ottenere quindi un prezzo più alto) è risultato allettante. La ricerca, sostengono gli scienziati, dimostra che l’adozione di un approccio integrato che combini diverse misure di mitigazione può contribuire alla gestione sostenibile della pesca artigianale della seppia. Se tutti gli stakeholder saranno coinvolti, sarà possibile garantire la conservazione della seppia comune, la sostenibilità economica della pesca artigianale e la soddisfazione dei consumatori.

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