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Come l’attività antropica cancella la biodiversità

Redazione

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storia

La diversità oscura rivela l’impoverimento nascosto degli ecosistemi naturali

Immagina di entrare in un bosco o in una prateria e osservare una vegetazione apparentemente rigogliosa. Eppure, sotto quella superficie verde si cela un’assenza invisibile ma significativa: molte specie che dovrebbero esserci, semplicemente, non ci sono più. Questo è la nozione di “diversità oscura” (dark diversity): vale a dire tutte quelle specie che sarebbero ecologicamente adatte a vivere in un determinato ambiente, ma che risultano assenti. Il concetto, introdotto da Pärtel, Szava-Kovats e Zobel nel 2011, consente di misurare non solo quanta biodiversità è presente in un luogo (alpha diversity), ma anche quanta ne manca, pur essendo teoricamente compatibile con quell’ambiente.

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Lo studio rivela come le piante siano scomparse in silenzio

La ricerca frutto del progetto DarkDivNet – pubblicata su Nature – ha visto la partecipazione di oltre 250 scienziate e scienziati di tutto il mondo, di cui quindici italiani di nove università del Bel Paese. Il folto gruppo di ricerca ha raccolto dati di biodiversità provenienti da circa 5500 siti di 119 regioni del mondo: sono state registrate sia le specie vegetali presenti in ognuno dei siti che le specie autoctone che avrebbero dovute esserci ma che invece sono risultate assenti a causa dell’attività umana. Questo approccio scientifico, piuttosto innovativo, ha permesso di identificare la diversità oscura e di calcolare il potenziale della diversità vegetale di ciascuna area, rivelando in che termini è stato ridotto dall’impronta umana. I risultati sono sorprendenti: nei luoghi con impatto umano minimo circa il 35% delle specie adatte è effettivamente presente ma nelle aree fortemente antropizzate invece la percentuale scende sotto il 20%. Questo significa che gran parte della biodiversità potenziale è scomparsa anche dagli habitat naturali.

"Le nostre attività influenzano negativamente la biodiversità. È quindi necessario supportare al massimo le politiche volte a tutelarla."

Alessandro Chiarucci, docente ricercatore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna

Quali sono le cause?

Non si tratta solo di cementificazione o deforestazione. Anche in ambienti apparentemente intatti, l’impatto umano può avere effetti a lungo raggio: frammentazione degli habitat, diminuzione di animali impollinatori e dispersori di semi, inquinamento dell’aria e del suolo, incendi indotti dall’uomo. Tutti questi fattori possono ostacolare la sopravvivenza o la capacità di colonizzazione delle specie. In altre parole, la biodiversità non muore solo dove arriva l’escavatore ma anche a distanza, come conseguenza.

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Un nuovo strumento per tutelare la biodiversità

Le misurazioni tradizionali della biodiversità impiegate fino ad oggi, come il conteggio del numero di specie registrate, non offrivano un quadro completo: l’identificazione della diversità oscura ha permesso di colmare il gap conoscitivo. Perché è importante? La diversità oscura è un allarme silenzioso: rivela che, anche dove la natura sembra resistere, qualcosa è andato storto. E questo ha conseguenze concrete: ogni specie svolge un ruolo negli equilibri dell’ecosistema e se mancano troppi attori, la “scena” ecologica cambia, spesso peggiorando la resilienza e la produttività degli ambienti naturali. Inoltre, la diversità oscura rappresenta un’opportunità perché le specie mancanti sono ancora presenti nella regione e con strategie adeguate (come il ripristino degli habitat e il miglioramento della connettività ecologica), potrebbero tornare.

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“Lo studio conferma, purtroppo, che le nostre attività influenzano negativamente la biodiversità. È quindi necessario supportare al massimo le politiche volte a tutelarla, a livello locale e globale”, spiega il professor Alessandro Chiarucci, del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, “in particolare, è fondamentale che continuiamo la strada intrapresa, aumentando il numero e la superficie delle aree rigorosamente protette, ossia di aree in cui i processi naturali sono liberi di manifestarsi, a tutela della biodiversità presente e futura. Ho lavorato su questo progetto nell’ambito dell’attività del National Biodiversity Future Center che coordino assieme al Prof. Rondinini di Roma, e che sta cercando di costruire gli scenari nazionali per il futuro delle aree protette”.

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Conclusioni

Lo studio ha dimostrato come l’attività umana eserciti un basso impatto negativo sulla biodiversità quando almeno un terzo della regione circostante l’area investigata risulta incontaminato o ben protetto, a sostegno dell’obiettivo di proteggere il 30% del territorio. Dunque la ricerca ha evidenziato l’importanza di promuovere la salute degli ecosistemi sia dentro che al di fuori delle aree protette. Quello della diversità oscura si configura come uno strumento pratico per identificare le specie idonee assenti e favorire il ripristino degli ecosistemi. Al progetto DarkDivNet, che è stato coordinato dall’Università di Tartu in Estonia, hanno collaborato, oltre all’Università di Bologna – con il professor Chiarucci, le ricercatrici Silvia Del Vecchio e Arianna Ferrara – le università italiane di Parma, dell’Aquila, dell’Insubria, di Catania, di Palermo, di Cagliari, della Basilicata e l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

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