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Lo squilibrio nell’assegnazione dei fondi per la conservazione minaccia le specie a rischio
Uno studio condotto dalle Università di Firenze e di Honk Kong (“Limited and biased global conservation funding means most threatened species remain unsupported”), pubblicato su PNAS, ha messo in luce per la prima volta una problematica gestionale non indifferente per la conservazione della biodiversità: i fondi mondiali, sia pubblici che privati, destinati alla salvaguardia dell’esistenza delle specie non sono distribuiti in maniera uniforme, a discapito di quelle a rischio diretto di estinzione, molte delle quali fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi.

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La ricerca ha preso in esame circa 14.566 progetti di conservazione distribuiti in un arco temporale di venticinque anni, dal 1992 al 2016. Molti dei progetti analizzati rientrano nel programma europeo LIFE, fondamentale per la conservazione delle specie italiane. I ricercatori hanno confrontato l’importo dei finanziamenti per ciascuna specie segnalata nella ‘lista rossa’, l’elenco delle specie minacciate stilato dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l’istituzione che valuta i livelli di rischio di estinzione.
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Come sono stati distribuiti i fondi per la conservazione?
Dallo studio è emerso che nell’arco di tempo preso in esame sono stati assegnati
complessivamente 1.963 miliardi di dollari, dei quali circa l’82,9% è stato destinato ai vertebrati mentre piante e invertebrati hanno ottenuto solamente il 6,6% ciascuno dei finanziamenti; funghi e alghe invece sono rientrati appena, con meno dello 0,2% dei fondi per ciascuna delle specie. Una peculiarità della ricerca inoltre è l’aver evidenziato come lo squilibrio della distribuzione si presenta anche all’interno dei gruppi che hanno ricevuto maggiori fondi: i mammiferi di grossa taglia per esempio, che costituiscono un terzo dei mammiferi minacciati secondo l’IUCN, hanno goduto dell’86% dei finanziamenti.
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Tra le specie ‘privilegiate’, che rappresentano solo una piccola porzione delle grandi specie, troviamo in particolare gli elefanti e le tartarughe marine ma a farne le spese sono il 94% delle specie a rischio diretto di estinzione: anfibi, invertebrati, piante e funghi non hanno ricevuto che minimi sostegni economici. “I dati dicono, per esempio, che tra i vertebrati più a rischio di estinzione ci sono gli anfibi (salamandre e rane), ma i fondi a loro dedicati sono meno del 2% del totale. In generale, gli animali che noi consideriamo ‘brutti’ o pericolosi (pipistrelli, serpenti, lucertole, e moltissimi insetti escluse le farfalle) sono scarsissimamente finanziati in termine di conservazione”, spiega Stefano Cannicci, docente di zoologia dell’Università di Firenze e membro della IUCN, tra gli autori dello studio.

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L’appello dei ricercatori
Per gestire al meglio la sfida rappresentata dalla tutela della biodiversità i ricercatori ritengono che sia necessario “destinare complessivamente più risorse alla conservazione, ma anche che le organizzazioni governative e non governative lavorino per riallineare, sulla base delle conoscenze scientifiche, le priorità di finanziamento verso le specie a reale rischio di estinzione e attualmente trascurate”, dal momento che “investire i fondi sulla conservazione di poche specie non preserva gli ecosistemi che li supportano”. Cannicci lancia un importante spunto di riflessione in una domanda cui si spera che gli organi di competenza coinvolti rispondano al più presto, così da ottimizzare l’uso dei fondi in base alla necessità segnalata dalla comunità scientifica: “Che senso ha conservare un animale ma non gli animali o le piante che mangia?”.

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