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Secondo uno studio, in caso di poche risorse, le api da miele prevalgono sulle specie di api selvatiche
Studiare le api e i loro comportamenti, considerando l’importante impatto che esse svolgono sugli ecosistemi e di conseguenza anche sull’uomo, è una prerogativa fondamentale per superare le difficoltà cui andremo incontro nell’avvenire. Per questo motivo i ricercatori delle Università di Firenze e di Pisa hanno condotto uno studio sull’isola di Giannutri per comprendere cosa succede tra le api mellifere e le altre specie di api quando si ritrovano circoscritte in zona con scarsità di risorse. La ricerca, intitolata “Island-wide removal of honeybees reveals exploitative trophic competition with strongly declining wild bee populations”, è stata finanziata grazie ai fondi provenienti dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, dal Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Università e della Ricerca e dal National Biodiversity Future Center (finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma #NextGenerationEU – PNRR).

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I risultati dello studio, durato quattro anni, sono stati pubblicati sulla rivista Current Biology. “Si tratta del primo studio che è riuscito a evidenziare come la concorrenza tra api mellifere e altre specie di api si possa risolvere in favore delle prime, specialmente in aree ristrette senza le risorse floreali sufficienti per tutte le specie selvatiche e gestite” spiega Leonardo Dapporto, docente di zoologia e referente scientifico Unifi della ricerca.
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L’indagine nata dal declino delle api, un fenomeno preoccupante
Perché dobbiamo preoccuparci se le api, mellifere e non, stanno vivendo un declino? La risposta è legata alle funzioni delle loro azioni che hanno ripercussioni sulla riproduzione delle piante e la stabilità di ecosistemi naturali e agricoli. Il declino delle api selvatiche è dovuto a molteplici fattori, fondamentalmente di natura umana: la distruzione degli habitat, lo sfruttamento degli ambienti, l’uso di pesticidi, i cambiamenti climatici e la diffusione di specie aliene e invasive. Negli ultimi anni inoltre è sorto il sospetto che, a contribuire a tale declino, possano essere anche le api allevate in cattività dall’uomo le quali monopolizzano le risorse.
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L’isola di Giannutri, un “laboratorio a cielo aperto”
La scelta di impiegare l’isola di Giannutri per condurre lo studio non è casuale. Lo racconta Dapporto che spiega come l’intera isola, scelta perché l’ape mellifera non è presente, è stata utilizzata come “un laboratorio a cielo aperto per valutare un possibile effetto negativo di una grande densità di api da miele gestite dagli apicoltori sulle api selvatiche, che costituiscono parte fondamentale degli impollinatori naturali dell’isola”.

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Un’occasione irripetibile per uno studio unico del suo genere, perché come spiega Alessandro Cini, referente scientifico Unipi, “Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ci aveva chiesto di verificare l’impatto sugli apoidei causato dalla presenza di un apiario sull’isola, provvisto di 18 colonie. Questa è stata un’occasione unica: da una parte una zona circoscritta e controllabile, dall’altra la possibilità di sottrarre temporaneamente a quell’ambiente tutte le api da miele gestite dall’uomo”.
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Come hanno fatto i ricercatori?
Lo studio è avvenuto per fasi, come ha spiegato Lorenzo Pasquali, primo autore della ricerca e dottorando Unifi: “Abbiamo temporaneamente impedito alle api da miele di raccogliere risorse nell’isola per alcune ore in alcuni giorni chiudendo le uscite delle arnie in accordo con gli apicoltori. Tale assenza ha prodotto un rapido aumento delle risorse disponibili agli apoidei selvatici, ossia polline e nettare, inducendo gli insetti a modificare il loro comportamento in modo da assumere più risorse in un tempo più breve. Nello specifico, polline e nettare sui fiori sono aumentati rispettivamente del 50% e del 30%. Senza competizione, le api selvatiche sono diventate più attive nel cercare il cibo, hanno trascorso più tempo sui fiori a succhiare il nettare e hanno impiegato meno tempo a prendere il polline”.
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Conclusioni: negata l’autorizzazione all’apicoltura sull’isola
Dalla ricerca è emerso come l’effetto delle api da miele potrebbe causare, in modo considerevole, il forte declino degli impollinatori selvatici: “Parliamo di un calo dell’80%, quasi un’estinzione”, dice Dapporto. Motivo per il quale, proprio sulla base di questi dati, il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ha deciso di non confermare le autorizzazioni per condurre l’apicoltura sull’isola di Giannutri.

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I gruppi di ricerca stanno osservando se adesso, nel lungo periodo di assenza di api da miele, si registrerà un incremento di altre specie di apoidei e altri impollinatori. Tuttavia è importante evidenziare come quella dell’apicoltura non rappresenti necessariamente una pratica nociva, al contrario “ci piace sottolineare che gli apicoltori sono rimasti gli ultimi ‘custodi’ dell’ape da miele, in quanto negli ultimi decenni questa specie è praticamente sparita allo stato selvatico. Il contesto dell’isola di Giannutri è molto particolare, qui l’ape da miele probabilmente non può sopravvivere allo stato selvatico”, spiega Elisa Monterastelli, autrice Unifi della ricerca e divulgatrice esperta di api selvatiche.
Il viaggio continua
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