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Bioinformatica e botanica unite per città più verdi
C’è un mondo nascosto che pulsa sotto l’asfalto delle nostre città, un regno sotterraneo cruciale per la nostra qualità della vita. L’intervista con Gabriella Sferra, bioinformatica esperta di botanica dell’Università del Molise, ci svela l’importanza vitale della biodiversità associata alle radici degli alberi urbani, essenziali per città più sane, resilienti e capaci di affrontare le sfide ambientali.

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Professoressa Sferra, di cosa si occupa la sua ricerca?
“Io sono un bioinformatico e lavoro nel campo della botanica. Nell’ambito di NBFC, le mie attività riguardano la ricerca sulla biodiversità associata alle radici degli alberi in ambiente urbano. La biodiversità è cruciale per avere città sostenibili, salutari e resilienti, e fa parte dei criteri di progettazione e realizzazione degli spazi urbani”.
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Gli alberi, custodi di biodiversità
Perché è così importante studiare la biodiversità legata alle radici degli alberi in città?
“Perché gli alberi in città funzionano, letteralmente. Funzionano come filtri in grado di ridurre l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità dell’aria, mitigano gli effetti dovuti alla cementificazione, come le isole di calore, e contribuiscono a prevenire gli allagamenti. E poi dunzionano come habitat per altre specie e una città ricca di biodiversità è una città che funziona meglio, più sana e più capace di affrontare le sfide ambientali”.
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Quali benefici concreti portano gli alberi sani in un contesto urbano?
“Esercitano funzioni migliorative che vanno da aspetti prettamente estetici ad aspetti legati, per esempio, alla mitigazione dei cambiamenti climatici o all’abbassamento della temperatura delle strade. Le piante che stanno bene fanno bene alla città sia da un punto di vista pratico che economico: forniscono servizi (che hanno anche un valore economico), non rappresentano un rischio (ad esempio di crollo o di sollevamento dei marciapiedi o
di rottura di tubature) e saranno investimenti fruttuosi che non si perdono nel tempo e che non necessitano di
“manutenzione”. Capire quali specie sono adatte a crescere nei diversi ambienti urbani è indispensabile per far sì che queste funzioni siano efficaci. L’idea, quindi, è quella di definire linee guida ed indicatori utili sia per la scelta che per il monitoraggio e la gestione delle piante arboree presenti o da inserire nelle nostre città. Infine, le nostre strategie di ricerca forniscono anche informazioni sulle caratteristiche delle radici in ambiente urbano e sulle loro interazioni con fattori abiotici, cioè associati, ad esempio, al susseguirsi delle stagioni o alle caratteristiche sia chimiche che fisiche del suolo, e biotici, cioè relativi alla coabitazione con altri organismi”.

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Tre contesti per capire il verde
Dove svolgete le vostre ricerche e quali piante studiate?
“Abbiamo scelto tre aree a Campobasso, in Molise, con diversi livelli di urbanizzazione: un bosco naturale (Bosco Fajete), un’area agricola (San Giovanni) e un piccolo bosco circondato da case (Villino Correra). Qui
studiamo e monitoriamo nel tempo le radici di Quercus cerris (cerro), una pianta molto frequente in tutto il bacino del Mediterraneo, particolarmente comune in Italia e molto resiliente e resistente ai cambiamenti climatici. In tutta la regione Molise e a Campobasso, in particolare, è molto presente anche in giardini molto
piccoli”.
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Quali tecniche utilizzate per studiare le radici nel sottosuolo urbano?
“Per questo esperimento abbiamo fatto carotaggi di suolo in un arco temporale di 18 mesi. In altre parole, estraiamo carote (ovvero cilindri di terreno) e analizziamo le radici presenti, la comunità di microrganismi e le caratteristiche chimico-fisiche del suolo”.

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Il mondo sotterraneo: quello che le radici ci dicono
Cosa riuscite a scoprire grazie a questi studi sulle radici?
“Otteniamo dati davvero significativi: ricaviamo dinamiche di crescita e cambiamenti delle radici nel tempo e in funzione dei diversi fattori ambientali, nonché informazioni sulle interazioni con le comunità microbiche che “dialogano” con le radici in funzione del “contesto suolo” in cui si trovano. Riusciamo così a capire qual è l’impatto di un sito su una stessa specie. In altre parole, riusciamo a misurare quanto stanno bene le radici – e quindi le piante- correlando queste informazioni a tutte le caratteristiche del sito e deriviamo indicatori e riferimenti utili al monitoraggio del loro stato di salute. Ad esempio, abbiamo notato che in alcuni suoli urbani c’è molto materiale di risulta delle costruzioni, e riusciamo a collegare questo con lo stato di salute delle radici. Studiamo anche come le radici reagiscono allo stress e alle malattie, cercando dei segnali precoci che ci indichino se una pianta sta per ammalarsi”.
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Avete creato anche un laboratorio a cielo aperto a Campobasso. Di cosa si tratta?
“A Campobasso abbiamo allestito un impianto sperimentale di foresta urbana per avere un “laboratorio a cielo aperto” multidisciplinare per studiare la biodiversità a lungo termine. Qui sono presenti sistemi di rilevazione dei parametri ambientali e diverse tipologie di strumenti e strutture per lo studio di insetti, animali, piante e microrganismi come trappole per peli di animali, trappole per insetti, root window e minirizotroni. In questo spazio abbiamo piantato diverse specie di alberi e stiamo monitorando nel tempo come crescono, quali animali e insetti li frequentano e come interagiscono con l’ambiente. Questo ci permette di studiare la biodiversità urbana in un ambiente controllato e di capire quale sia il modo migliore per creare e gestire nel tempo gli spazi verdi in determinati contesti”.
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Bioinformatica: dalla ricerca alla costruzione di modelli
In che modo la bioinformatica si inserisce nel vostro lavoro?
“La bioinformatica, in generale, è una disciplina che consente di utilizzare dei sistemi informatici specializzati per l’analisi di dati biologici. La decliniamo in varie maniere, soprattutto legate alla creazione di modelli che siano in grado un po’ di mimare un po’ di spiegare quello che noi vediamo in campo con gli esperimenti. In pratica, utilizziamo il computer per analizzare la grande quantità di dati che raccogliamo sulle radici, sui microrganismi e sul suolo. Questo ci aiuta a trovare delle “regolarità” e a creare dei modelli che ci permettano di spiegare quello che osserviamo e di prevedere come le piante reagiranno a diverse situazioni”.

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Le informazioni che ottenete sono significative per la gestione del verde urbano?
“Certamente! Puntiamo a definire linee guida e indicatori utili sia per la scelta che per il monitoraggio e la gestione delle piante arboree presenti o da inserire nelle nostre città. Gli strumenti di monitoraggio che stiamo sviluppando diventano predittivi rispetto allo stato di salute della pianta, ci consentono di capire nel tempo come sta e se è necessario qualche tipo di intervento. Siamo in grado di dire quali specie di alberi sono più adatte a un determinato ambiente urbano, come monitorare la loro salute senza dover scavare e quali interventi sono necessari per mantenerle in buone condizioni”.
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Piante su misura per nuove esigenze (anche climatiche)
Chi potrebbe beneficiare di queste conoscenze?
“Possono esserci tanti enti interessati, ma anche privati, come tutto il settore vivaistico legato alla gestione forestale in ambiente urbano. Noi abbiamo delle collaborazioni aperte con dei gestori di vivai che ci chiedono di continuo questa serie di informazioni perché fondamentalmente si va verso la generazione di piante cosiddette customized, cioè adatte il più possibile a un certo tipo di contesto. Per esempio, un’aiuola spartitraffico deve avere un certo tipo di pianta; un albero che si trova in un giardino storico deve avere un altro tipo di caratteristiche. Le nostre ricerche possono aiutare a scrivere delle linee guida per la gestione del verde urbano, per la forestazione e la riforestazione, rendendo tutto più efficiente, razionale e sostenibile”.
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In che modo il vostro lavoro si lega al tema del cambiamento climatico?
“Questi studi sono strettamente legati al cambiamento climatico perché il cambiamento climatico soprattutto in ambiente urbano determina un incremento degli stress cui tutti gli organismi sono sottoposti, incluse le piante. I nostri dataset saranno in grado di dare una serie di indicazioni molto utili. Comprendere quali piante sono più resistenti agli stress ambientali, come la siccità o le alte temperature, è fondamentale per creare città più resistenti e resilienti ai cambiamenti climatici. Inoltre, gli alberi stessi sono un’arma importante contro il cambiamento climatico proprio perché assorbono anidride carbonica”.
Protagonisti dell’intervista
Gabriella
Sferra
- Bioinformatica esperta di botanica dell’Università del Molise
- Università del Molise
- gabriella.sferra@unimol.it Copia indirizzo email
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