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Biosoluzioni, economia circolare e sfide regolatorie per un futuro sostenibile
In un momento storico in cui la sostenibilità non è più un’opzione ma una necessità, il trasferimento della ricerca scientifica al mercato rappresenta una delle grandi sfide del nostro tempo. È in questo contesto che nasce Liberinnova, il progetto di scrittura del libro bianco pensato per ammodernare la normativa europea sui botanicals. Il progetto, guidato da PlantaRei insieme a un team internazionale di esperti, si pone un obiettivo preciso: rendere più rapido, trasparente ed efficace il percorso che porta le biosoluzioni dalla sperimentazione ai consumatori. Ne abbiamo parlato con Elena Sgaravatti, CEO di PlantaRei e voce autorevole nel mondo biotech. Dal ruolo centrale delle piante alla necessità di una comunicazione scientifica corretta, passando per il significato profondo di “bene comune”, emerge una visione forte e concreta: l’innovazione non può più attendere.

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Un nome, una missione
<Dottoressa, oggi parliamo di PlantaRei, un’azienda interessante sin dal nome, che rievoca l’antico invito ad abbracciare il cambiamento come caratteristica fondamentale dell’esistenza.
“È proprio così: il nome della nostra realtà si ispira al principio eracliteo del “tutto scorre”. È un’azienda di biotecnologie vegetali: ci occupiamo di valorizzare tutte le risorse disponibili in una ottica di economia circolare, perché una serie di indicatori, come i limiti planetari, ci impongono di andare in questa direzione. Vogliamo sottrarci al circolo vizioso dell’economia lineare che è fatta di “prendi, usa e getta”. E così noi elaboriamo biosoluzioni”.
"Le biosoluzioni offrono risposte concrete a sfide globali. "
Elena Sgaravatti
Che cosa significa per voi biosoluzioni?
“Significa soluzioni ispirate alla natura, che si avvalgono di microrganismi, batteri, enzimi presenti in natura. Ryan Bethencourt, uno scienziato e imprenditore americano, una volta ha detto: “Il nostro mondo è basato sulla biologia. Una volta che iniziamo a comprenderla, la biologia diventa tecnologia”. Credo abbia profondamente ragione. Le biosoluzioni offrono risposte concrete a sfide globali. Agendo su scala microscopica, microbi ed enzimi ci aiutano a contrastare il cambiamento climatico, riparare i sistemi alimentari, ridurre l’inquinamento, migliorare salute e alimentazione, e rendere più sostenibili i processi industriali”.
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Il bene comune: un impegno collaborativo
Nel vostro sito si legge più volte che PlantaRei ha nella propria mission il bene comune. Riesce a inquadrarci questo concetto?
“Certo. Noi pensiamo che con un cambio di mentalità, attraverso lo sviluppo di biosoluzioni e lavorando in filiera, sia possibile costruire un’economia circolare. Quest’ultima è completamente diversa da quella lineare: è rigenerativa e collaborativa, perché mette assieme molte più persone – le imprese, la comunità, i consumatori, le istituzioni. Richiede impegno e visione condivisa. Vi faccio un esempio: recuperare i residui della lavorazione della frutta, o gli “scarti” dei Mercati Generali, o la frutta deperita nei campi perché raccoglierla non conviene più, è faticoso e ad oggi antieconomico. Ma buttare via tutto, come spesso accade, invece che recuperare per nuovi scopi e utilizzi innovativi, è una perdita in primo luogo per l’agricoltore che ha impiegato tempo e fatica per il suo raccolto, ma anche per l’intera società. Le risorse non sono infinite – e sono di tutti. Il capitale naturale appartiene al mondo intero, e il suo sfruttamento indiscriminato è semplicemente ingiusto. Le piante, che molti considerano ancora come inferiori, sono esseri viventi molto più evoluti e meglio organizzati degli animali. Hanno alle spalle un vantaggio evolutivo di milioni di anni, sanno creare energia dalla luce del sole, producono sostanze che nemmeno il miglior chimico del mondo saprebbe replicare e, semplicemente, permettono alla vita di esistere. Quando riusciremo a comprenderlo appieno guarderemo finalmente alle piante con umiltà e con il dovuto rispetto, e sapremo imparare da loro, apprezzando quanto ci offrono. Utilizzare quanto ci sanno dare attraverso processi di upcycling, come attraverso l’impiego di enzimi per trasformarli in nuovi prodotti ad alto valore aggiunto, significa fare economia circolare a tutela del capitale naturale”.

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Il progetto Liberinnova
In che modo collabora con NBFC, e in che cosa consiste il progetto Liberinnova?
“Liberinnova è un progetto che consiste nella redazione di un libro bianco (White Paper in inglese: rapporto ufficiale su un determinato argomento per promuoverne punti di forza e caratteristiche, ndr) da consegnare alle istituzioni per richiedere l’ammodernamento della normativa sui botanicals. Conosco piuttosto bene questo ambito legislativo perché in passato ho registrato – cioè ho ricevuto l’autorizzazione alla commercializzazione in Europa – i primi tre ingredienti per la nutraceutica da colture cellulari, e poi un altro ingrediente come novel food. Oggi la nuova legislazione europea rende i percorsi regolatori e normativi complessi e costosi, cosa che limita fortemente sia l’innovazione che la sostenibilità ambientale. Confrontandomi con vari accademici che partecipavano a NBFC, ho fatto notare questa criticità – così è nata l’idea, con il supporto di altri collaboratori esperti della materia, di redigere un libro bianco”.
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Cosa chiede esattamente questo libro bianco?
“Il rapporto parte dall’idea che tutto lo straordinario lavoro di ricerca che sta facendo NBFC potrebbe non arrivare al mercato perché c’è un bias regolatorio. È nostro compito preparare il terreno perché il frutto di tanto impegno arrivi a destinazione: fare innovazione significa prendere la ricerca e trasformarla in un beneficio per la società. Se rimane in un cassetto, non è innovazione”.

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Un dialogo con le istituzioni italiane ed europee
A chi viene indirizzato il vostro libro bianco?
“Sia alle istituzioni europee che a quelle italiane, e infatti lo stiamo redigendo sia in inglese che in italiano. Oltre che CEO di PlantaRei, sono vicepresidente di Assobiotech, e all’interno di questo contesto, come rappresentante di European Biosolutions Coalition, partecipo a un lavoro congiunto per far capire alla Commissione europea e al Parlamento europeo la necessità di accelerare l’accesso della ricerca al mercato. Le biosoluzioni che in Usa, in Canada, in Cina, in America latina, in India, in tutta l’Asia impiegano 2 o 3 anni per fare questo passaggio, in Europa ci mettono dai 5 ai 10 anni. In altre parole, alle condizioni attuali gli altri ci passano davanti”.
"Con un cambio di mentalità, attraverso lo sviluppo di biosoluzioni e lavorando in filiera, è possibile costruire un’economia circolare."
Elena Sgaravatti
L’importanza della comunicazione scientifica
Che importanza date alla comunicazione e alla divulgazione delle vostre ricerche? Come le restituite alla popolazione?
“La comunicazione della scienza per noi è un tema cruciale, che diventerà sempre più importante: scienza e ricerca progrediscono sempre più velocemente, e chi si occupa della comunicazione ha la responsabilità di spiegare correttamente e semplicemente, utilizzando termini che aiutano nella comprensione. “Biosoluzione”, per esempio, è un concetto che viene subito connotato come positivo; “biotecnologia” lascia incerti: eppure il pane, il vino e la birra sono biotecnologie, perché utilizzano fermenti e lieviti. Il documento UE di sviluppo “Building the future with nature”, dello scorso anno, dice cose straordinarie sul valore delle biotecnologie per rispondere alle sfide della società, che vanno comunicate con accuratezza. Espressioni come “la fragola di Frankenstein” non servono a nessuno e sono anzi nocive. Il pubblico ha il diritto di conoscere la ricerca senza essere manipolato”.
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Con il libro bianco state andando in questa direzione?
“Esatto, e lo stiamo facendo all’interno di un framework molto preciso, quello dei botanicals, ovvero di tutti quei prodotti generati dal mondo vegetale che poi possono essere utilizzati come bioattivi in farmaci, integratori o cosmetici. In questo contesto ci sono concetti da chiarire e miti da sfatare, come quello che “naturale” significa “benefico”, mentre “sintetico” o “artificiale” o “prodotto in laboratorio” significa “cattivo”. Questa è una clamorosa idiozia: i veleni più potenti sono veleni naturali – e fin troppo spesso leggiamo di avvelenamenti da funghi o da piante. Se “sintetico”, poi, significa “fatto con la chimica” – beh, è bene ricordare che noi stessi siamo fatti di chimica”.

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Il team del libro bianco
Com’è organizzato il libro bianco?
“Parte da un’introduzione che fotografa il quadro normativo attuale, e poi si sviluppa proponendo raccomandazioni e suggerimenti che consentano alla ricerca di arrivare sul mercato”.
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Chi collabora a questa scrittura?
“Per la redazione di questo documento ricorriamo a competenze trasversali. PlantaRei è capofila; poi lavoriamo assieme a EAS Strategy, un’agenzia di consulenza regolatoria con sede a Bruxelles, con avvocati esperti del Protocollo di Nagoya. Questo accordo internazionale stabilisce come condividere in modo equo i benefici che derivano dall’utilizzo delle risorse genetiche. Mi spiego con un esempio: in Amazzonia ci sono piante straordinarie. Se voglio utilizzarle, devo riconoscere un equo corrispettivo economico alla nazione che le ospita o dove esiste una sua tradizione d’uso. Pensiamo a questo: in Italia abbiamo praticamente la metà della biodiversità dell’intera flora europea. Utilizzare le nostre piante conviene, e dal punto di vista regolatorio abbiamo bisogno che questo sia facilitato. Altri collaboratori sono poi Antonino Santoro, rinomato nel campo farmaceutico e nutraceutico; ma il documento è aperto anche alla collaborazione della European Biosolutions Coalition, come pure ad eventuali commenti e suggerimenti di altre associazioni di settore”.
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Qual è il suo auspicio, e quali le sue aspettative? Quando sapremo se il libro bianco ha prodotto i risultati a cui puntava?
“Speriamo molto presto. Il quadro regolatorio attuale è una tutela per il consumatore, e la sicurezza è la priorità, ma ormai lo sappiamo: la ricerca è così veloce che la normativa non ha tenuto il passo. È il momento giusto per riallinearsi”.
Protagonisti dell’intervista

Elena
Sgaravatti
- CEO PlantaRei Biotech
- elenasgaravatti@plantareibiotech.it Copia indirizzo email
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