Una pianta di Ambrosia artemisiifolia
Una pianta di Ambrosia artemisiifolia

Piante esotiche in città: una sfida da vincere

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Alla scoperta delle abitudini delle specie che hanno scelto di abitare in città

È possibile accogliere nel verde urbano piante esotiche senza provocare danni, e se sì, quali è meglio scegliere? È questo uno dei filoni di ricerca di Chiara Montagnani, botanica specializzata nel complesso settore delle specie aliene o esotiche.

Protagonisti dell’intervista

CM

Chiara

Montagnani

 

Una passione, tante prospettive

“Il mio percorso è iniziato all’Università di Genova, con la facoltà di Scienze Naturali”, racconta. “Poi la passione per la botanica è arrivata all’inizio del dottorato. Inizialmente volevo capire se la conservazione della biodiversità aveva davvero un senso, anche a livello politico ed economico, e come si combinava con macrotematiche come la gestione dell’acqua o la pianificazione del territorio. In quegli anni ho trascorso del tempo in Costa Rica, il Paese al mondo con il maggior numero di parchi e aree protette, e ho indagato la differenza tra la conservazione de facto e quella soltanto su pezzi di carta. Da allora in poi, la botanica è stato il focus dei miei studi, e per alcuni anni mi sono occupata delle specie inserite nelle liste rosse”.

 

 

Specie esotiche: piante di una certa audacia

L’arrivo di Montagnani all’Università di Milano – Bicocca è coinciso con un cambio di fuoco. “Qui sono passata al lato oscuro della forza”, commenta scherzando la scienziata. “Dalle piante a rischio di estinzione sono passata a quelle che in qualche modo rappresentano una minaccia: le specie aliene o esotiche”. Primo oggetto di studio, il genere Ambrosia. La specie più diffusa è Ambrosia artemisiifolia, considerata infestante,  con potenzialità allergeniche (il suo polline può causare riniti e gravi crisi asmatiche). 

 

 

 

 

“Nonostante il nome evocativo (ambrosia era chiamato il cibo che dava immortalità agli dei, ndr), è piuttosto ordinaria: è una pianta pioniera che si trova lungo le strade, originaria probabilmente del deserto di Sonora (compreso tra Stati Uniti e Messico, ndr). Ma se l’aspetto è insignificante”, continua la botanica, dal punto di vista ecologico è meravigliosa”.

 

 

Una storia che comincia…quando?

Negli ultimi anni, Montagnani ha cercato di ricostruirne la storia. “Secondo le ricerche condotte sia da me su Ambrosia psilostachya sia dal collega Rodolfo Gentili su Ambrosia artemisiifolia, queste piante potrebbero essere state introdotte nel Settecento a scopo terapeutico: quelle del genere Ambrosia sono piante medicinali che contengono tante sostante interessanti e che venivano utilizzate dalle popolazioni native americane. L’ipotesi è che gli europei, interfacciandosi con loro, ne abbiamo scoperto le proprietà e abbiano deciso di introdurle negli orti botanici”.

La ricerca di un’origine per la storia di una pianta è una delle questioni più dibattute: come determinare, in termini temporali, se una specie è aliena o meno? “Definiamo ancora aliene piante importate ai tempi dei Romani, come il sorgo (Sorghum bicolor)”. Altri esempi di aliene sono la Robinia pseudoacacia, in italiano robinia o acacia, giunto in Europa dal Nord America o il papavero (Papaver rhoeas), originario di Eurasia e Nordafrica. “La questione è complessa e richiede un approccio multidisciplinare”, continua Montagnani. “Un aiuto importante per capire com’era anticamente la flora di un dato luogo viene dalle analisi palinologiche (la palinologia è la scienza che studia il polline e altri elementi biologici microscopici attuali e fossili, ndr)”.

 

 

Il fascino eterno dell’avventura

Da un certo punto di vista, l’invasione delle specie aliene è un racconto avventuroso. “Come hanno fatto certe piante ad arrivare fino a qui? Per ricostruire la loro storia”, spiega Montagnani, “andiamo indietro nel tempo. Consultiamo gli erbari, sia in Italia che in Europa, e immaginiamo il loro arrivo nei porti antichi. Il movimento di queste piante è tutto da scoprire: sono sfacciate e audaci.” E talvolta problematiche.

 

 

 

 

Tra queste ultime rientra Heracleum mantegazzianum, o pànace di Mantegazza, importato in Europa dal Caucaso alla fine del XIX secolo come pianta ornamentale, poi inselvatichito e diffuso per lo più in ambienti montani, nei fondovalle alpini. Di gentile aspetto, è in realtà pericoloso: al tatto, in seguito all’esposizione solare, la sua linfa provoca gravi infiammazioni della pelle; a contatto con gli occhi può causare cecità temporanea o anche permanente. La  pànace di Mantegazza è una minaccia anche per la biodiversità: le sue grandi foglie generano una densa ombra che causa il deperimento e la distruzione della vegetazione indigena.

 

 

Quando le esotiche arrivano in città

“Il mio lavoro attuale consiste nello studio delle piante esotiche in ambito urbano, un contesto molto particolare. Assieme ai colleghi degli atenei di Torino, di Roma La Sapienza e dell’Università del Molise, stiamo considerando alcune città: Milano, Torino, Roma, Campobasso, Asti e Pavia. Nelle tre metropoli (Milano, Torino e Roma), nonostante le differenze anche climatiche,  sono particolarmente diffuse alcune piante aliene. Noi ne abbiamo mappato ventisei, tra le quali rientrano Ailanthus altissima (l’albero del paradiso), Phytolacca americana (la cosiddetta uva turca), Robinia pseudoacacia, Sorghum halepense (il sorgo selvatico) e tante altre.

 

 

 

 

In queste città (il mio gruppo si occupa di Milano) abbiamo diviso il territorio urbano in una griglia composta da maglie di 500 x 500 metri. Poi, a piedi, ogni maglia è stata esaminata: dove trovavamo una delle 26 piante esotiche, ne segnalavamo la presenza con il GPS, cercando di essere il più possibile precisi. Abbiamo quindi cercato di capire se una pianta preferiva un tipo di suolo o un altro; se stava sul terreno o su una crepa nel marciapiede – insomma”, conclude Montagnani, “raccogliendo più di 20mila punti, abbiamo visto che queste specie hanno una diversa tendenza nell’occupare gli spazi e gli habitat cittadini”.

 

 

I gusti (diversi) delle piante

Tra i primi risultati della ricerca rientra la scoperta che “ad esempio Ailanthus altissima, nel centro cittadino (ambito in genere stressante per le piante, data la risicata disponibilità di spazi idonei) ha una performance migliore rispetto a Robinia pseudoacacia, che è invece una specie più rappresentativa delle aree più periferiche e di ambienti meno limitanti per le piante. Sorghum halepense è un’abile colonizzatrice di uno spettro di habitat più ampio. Phytolacca viene naturalmente diffusa dall’avifauna (ma non solo, anche l’uomo contribuisce), quindi spesso la troviamo abbondante in ambiti dove anche gli uccelli possono trovare rifugio nella matrice urbana come aree verdi, edifici abbandonati o rive dei corsi d’acqua. Parthenocissus inserta e Parthenocissus quinquefolia, due specie molto simili che noi chiamiamo vite americana, pur essendo usate come pianta rampicante ornamentale in città, danno il loro meglio sugli edifici agricoli delle periferie”.

 

 

 

 

Conoscere per pianificare

“I nostri risultati indicano che la gestione del verde urbano e la scelta delle specie, anche in ambito privato, sono molto importanti nella diffusione delle esotiche, così come la frequenza con cui sono state piantate in passato”.

In futuro, gli studi di Montagnani e dei suoi colleghi proseguiranno su vari fronti. “Vorremmo anzitutto contribuire alla comprensione di quali specie esotiche possono essere piantate nel verde urbano senza far danno, sia in città sia negli ambienti circostanti. Stiamo per questo elaborando una serie di strumenti che aiutino a pianificare gli interventi sul territorio tenendo conto della componente esotica. Poi, per ampliare le nostre conoscenze, vorremmo studiare anche altre città, sia in Italia che nel mondo”.

 

 

Vorremmo comprendere quali specie esotiche possono essere piantate nel verde urbano senza far danno. Per questo, stiamo elaborando strumenti che aiutino a pianificare gli interventi sul territorio.

Chiara Montagnani
Università degli Studi di Milano – Bicocca