
Ricerca e imprese: “la biodiversità è una miniera”
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La biodiversità italiana è un tesoro ancora largamente inesplorato, capace di offrire soluzioni innovative per la salute umana e la sostenibilità ambientale. In questo contesto si inserisce il lavoro coordinato da Flavia Guzzo, professoressa di botanica all’Università di Verona, che guida un team di oltre cento ricercatori nell’ambito del progetto NBFC. Al centro del loro impegno c’è la valorizzazione delle piante autoctone e alloctone italiane attraverso un’attenta analisi chimica e biologica, per individuarne proprietà utili nello sviluppo di nutraceutici, farmaci naturali e strumenti per un’agricoltura più ecologica. Grazie a un approccio rigoroso e multidisciplinare, sostenuto anche dall’intelligenza artificiale, il gruppo sta aprendo la strada a nuove applicazioni delle biomolecole vegetali, promuovendo al contempo la tutela della biodiversità e la ricerca scientifica di base.
Protagonisti dell’intervista
Flavia
Guzzo
- Biologa, Professoressa associata nel settore scientifico disciplinare BIO/01 (Botanica generale)
- CNR – Università degli Studi di Verona
- flavia.guzzo@univr.it Copia indirizzo email
Professoressa, in che modo il suo lavoro rientra in NBFC?
“Nell’ambito di NBFC, coordino il tavolo di lavoro 2 dello Spoke 6, che si concentra su biomolecole e biofonti. Il progetto portato avanti da questo tavolo mira alla valorizzazione, anche economica, delle specie della biodiversità italiana, in particolare ci occupiamo di specie vegetali. Valorizzazione economica significa individuare usi di specie della flora italiana che possano ispirare prodotti.”
Nuovi orizzonti: nutrizione, salute e agricoltura sostenibile
Quali sono gli ambiti principali di applicazione di questa valorizzazione?
“L’obiettivo è trovare applicazioni in diversi settori. Ad esempio, sviluppare prodotti nutraceutici, come integratori alimentari, farmaci, o prodotti per un’agricoltura più sostenibile. In pratica, raccogliamo specie, molte delle quali poco conosciute, le analizziamo chimicamente in modo approfondito e poi studiamo le loro potenziali attività. Abbiamo due focus principali: uno è la prevenzione e la cura di malattie non trasmissibili a base infiammatoria, come il cancro o le neurodegenerazioni; l’altro è ispirare prodotti per un’agricoltura più sostenibile, come erbicidi naturali biodegradabili o sostanze che rafforzino le difese naturali delle piante.”
Sembrano obiettivi molto ambiziosi.
“Sì, gli obiettivi sono estremamente ambiziosi, ma grazie a questo progetto abbiamo le risorse per poterli raggiungere. Il tavolo che coordino conta su più di 100 scienziati e scienziate provenienti da 12 centri di ricerca pubblici e privati, che si occupano di tematiche molto diverse e collaborano per raggiungere gli obiettivi comuni.”
Il potenziale nascosto nelle piante
Molti farmaci derivano dalle piante. Quanto è diffuso questo fenomeno?
“Attualmente, in campo farmaceutico, almeno il 30% dei farmaci in commercio o sono stati scoperti per la prima volta oppure sono ispirati a molecole delle piante. Pensiamo all’aspirina, la cui molecola si trova nella corteccia del salice, al tassolo, prodotto dal Taxus baccata e molto usato per il trattamento dei tumori al seno, o all’artemisinina, ricavata dall’Artemisia annua e attualmente unica cura efficace contro la malaria. Questo dimostra quanto le molecole naturali possano essere efficaci.”

Un tesoro ancora largamente inesplorato
Quante di queste molecole naturali conosciamo realmente?
“Questo è un punto cruciale. Le specie che sono state oggetto di qualche studio chimico sono circa tra il 15 e il 20% delle specie totali. Considerando che ci sono circa 400 mila specie di piante nel pianeta, immaginate quanto c’è ancora da scoprire. Noi ci concentriamo sull’Italia, che conta all’incirca 11.000 specie, di cui solo una piccola percentuale, forse il 15%, ha subito qualche esplorazione. Le applicazioni
potenziali sono tantissime e aspettano solo di essere scoperte!”
Come avete deciso di affrontare questa vasta, inesplorata biodiversità?
“Nel nostro progetto abbiamo adottato un approccio molto preciso e innovativo. Per cogliere al meglio la variabilità chimica, cioè la biodiversità chimica delle specie italiane con tutte le loro bioattività utili, siamo partiti dalla considerazione che la capacità di una pianta di produrre certi composti dipende dalla sua evoluzione. Abbiamo ipotizzato che piante molto imparentate avranno composti simili, mentre piante distanti avranno vie metaboliche diverse. Per questo, abbiamo deciso di campionare specie rappresentative di tutte le famiglie della flora italiana, e ci siamo riusciti! Questo ci offre una collezione che esprime la massima diversità, aumentando le probabilità di trovare sostanze diverse con attività differenti. Inoltre, abbiamo raccolto un numero di specie per famiglia proporzionale alla sua dimensione, creando una sorta di ‘parlamento’ delle piante rappresentativo. Questa scelta è stata fondamentale – forse la più originale della nostra campagna di bioprospezione.”

Dall’analisi chimica alla scoperta delle bioattività
Cosa succede dopo la raccolta delle specie?
“Tutte le specie raccolte vengono analizzate dal punto di vista chimico. Dopo questa analisi, quelle più interessanti vengono selezionate e inviate ai vari gruppi di ricerca per le analisi di bioattività. La bioattività è l’effetto di una sostanza su un organismo vivente, un tessuto biologico o sulle sue cellule. Analizzare la bioattività di un estratto vegetale significa capire se è, ad esempio, antiossidante, antinfiammatorio o antitumorale. Finora abbiamo analizzato chimicamente 450 specie sulle 720 campionate. Abbiamo già individuato diverse attività interessanti come quella antiossidante, utile per la prevenzione, quelle antinfiammatoria, citotossica (tossica per cellule tumorali), antidolorifica, anti-aging, neuroprotettiva e antiglicante. Per l’agricoltura, abbiamo trovato attività biostimolanti, cioè la capacità di migliorare la crescita delle piante, attività di protezione, ovvero di attivare le difese naturali delle piante, e antibatteriche contro i patogeni vegetali. C’è ancora molto da scoprire.”
Il ruolo cruciale delle imprese
Come possono le aziende beneficiare delle vostre scoperte?
“Le imprese entrano in gioco in due momenti. Anzitutto, nel network dei 12 centri di ricerca ci sono anche centri privati, come la grande azienda farmaceutica Dompé. Ma le imprese potranno anche accedere ai dati attraverso una piattaforma dedicata, ospitata dal Gateway, che conterrà informazioni su biorisorse, biomolecole e bioattività. Qui metteremo a disposizione la carta d’identità completa di tutte le 720 specie analizzate, sia per la composizione chimica che per le bioattività. Aziende che si occupano di prodotti naturali, integratori nutraceutici, eccetera, potranno consultare questi dati per indirizzarsi verso specie specifiche o per comprendere le attività delle molecole, per poi procedere allo sviluppo e all’approvazione dei loro prodotti.”
State lavorando anche sull’aspetto normativo?
“Sì, abbiamo degli esperti che stanno elaborando un libro bianco di suggerimenti per i decisori, perché la normativa attuale sulla botanica necessita di una revisione soprattutto sui metodi analitici da utilizzare per l’analisi degli estratti botanici.”
L’intelligenza artificiale vi è d’aiuto in questo processo?
“Assolutamente. Abbiamo due poli di studio sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale: unoall’Università di Verona e l’altro presso Dompé farmaceutici. L’AI ci aiuta soprattutto con gli esperimenti in silico, perché esistono moltissime proteine sulle quali una sostanza può agire. Testarle tutte in laboratorio sarebbe molto costoso erichiederebbe molto tempo. L’AI ci permette di individuare pochi target da validare poi in laboratorio, a costi contenuti e in tempi brevi.”
Tempi e percorsi per i nuovi prodotti
Quando potremo trovare i nuovi prodotti in commercio?
“Qui è importante fare una distinzione. Tra le specie che abbiamo studiato, alcune rientrano nella lista Belfrit, altre no. Questa lista, elaborata da Belgio, Francia e Italia, indica le piante utilizzabili nel settore degli integratori alimentari. Questo significa che alcune specie vegetali – quelle in lista – possono già essere utilizzate sull’uomo; altre necessitano di percorsi di approvazione più lunghi.”
Tra chimica e intuizione botanica: la ricerca di ciò che non ci si aspetta
In archeologia si dice che spesso che si trova quello che si cerca. È così anche nel vostro campo?
“Dal punto di vista delle bioattività, a volte funziona così. Invece, per quanto riguarda la chimica, è tutta un’altra storia. Le analisi possono rivelare che una specie ha una composizione chimica unica, e quindi merita ulteriori indagini approfondite. Abbiamo anche un gruppo dedicato allo studio delle molecole più complesse. Quindi, chimicamente, non troviamo quello che cerchiamo; piuttosto, con le moderne tecniche di analisi non mirata, vediamo tutte o quasi le sostanze di piccole dimensioni (i metaboliti). Molte indicazioni ci vengono anche dalla botanica. Ad esempio, abbiamo scoperto che l’Empetrum hermaphroditum, una piccola ericacea dell’Altopiano di Asiago, crea un ambiente di ‘vuoto spinto’ sotto di sé, uccidendo le altre piante. Questo la rende un candidato perfetto per lo sviluppo di pesticidi naturali. Avere a disposizione tanti botanici esperti del territorio e delle sue specie è stato fondamentale per il nostro lavoro.”
Un invito a proteggere e investire nella biodiversità
È possibile mandare un messaggio alle realtà di business?
“Certamente! La biodiversità è una miniera da cui stiamo estraendo autentiche gemme. Alcune delle specie studiate sono molto promettenti e porteranno a risultati importanti. Ma dobbiamo ricordare che abbiamo esplorato solo una piccola parte delle specie disponibili. Non possiamo permettere che la biodiversità si impoverisca, perché potremmo perdere occasioni straordinarie. E ai giovani dico: siate curiosi! E non dimenticate la ricerca di base, perché è da lì che nascono le grandi scoperte che plasmano il futuro.”
“La biodiversità è una miniera ancora largamente inesplorata. Non permettiamo che si impoverisca: potremmo perdere occasioni straordinarie!”
Flavia Guzzo
Un invito a proteggere e investire nella biodiversità
È possibile mandare un messaggio alle realtà di business?
“Certamente! La biodiversità è una miniera da cui stiamo estraendo autentiche gemme. Alcune delle specie studiate sono molto promettenti e porteranno a risultati importanti. Ma dobbiamo ricordare che abbiamo esplorato solo una piccola parte delle specie disponibili. Non possiamo permettere che la biodiversità si impoverisca, perché potremmo perdere occasioni straordinarie. E ai giovani dico: siate curiosi! E non dimenticate la ricerca di base, perché è da lì che nascono le grandi scoperte che plasmano il futuro.”