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Nutrire la salute, ogni giorno

Redazione

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intervista

Con Hellas Cena scopriamo come il benessere si costruisce con scelte quotidiane

Nel cuore del cambiamento che sta rivoluzionando il nostro modo di pensare alla salute, si trova un approccio tanto semplice quanto rivoluzionario: la lifestyle medicine. A raccontarcelo è Hellas Cena, medico chirurgo e specialista in scienza dell’alimentazione, co-leader dello Spoke 6 “Biodiversità e benessere” del progetto NBFC. Con competenza e passione, la prof.ssa Cena ci guida attraverso un concetto sempre più attuale: la salute non è solo assenza di malattia, ma un equilibrio dinamico costruito ogni giorno con alimentazione, movimento, sonno, gestione dello stress, relazioni positive e abbandono delle cattive abitudini.

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Professoressa, cosa si intende con l’espressione “lifestyle medicine”?

 

”Quando parliamo di lifestyle medicine, intendiamo tutti gli interventi e gli strumenti dello stile di vita che possono diventare una medicina sia preventiva che di trattamento. La salute viene nutrita da sei pilastri riconosciuti a livello internazionale da organizzazioni come l’American College of Lifestyle Medicine (ACLM) e la Lifestyle Medicine Global Alliance: un’alimentazione sana, un’attività fisica adeguata, la gestione dello stress, il sonno di qualità, le relazioni positive, la cessazione di abitudini dannose. La lifestyle medicine può essere declinata a seconda dei bisogni specifici, che possono dipendere dall’età, dal genere (dove con questo termine intendo non solo le differenze di sesso, ma anche quelle sociali che femmine e maschi hanno nella nostra società), da fattori clinici e di scelte o preferenze personali”.

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L’età della prevenzione

Partiamo dalla nutrizione. Quando iniziare a prendersi cura di sé?

“La prevenzione è possibile e utile a tutte le età, ma l’efficacia e il ritorno di investimento (anche sociale e sanitario) sono massimi quando si agisce precocemente, soprattutto nel periodo preconcezionale e prenatale. Esiste un momento speciale – i primi mille giorni, che vanno dal primo giorno del concepimento fino al compimento di due anni dell’età del bambino – nel quale attraverso le nostre buone abitudini, e la modifica di quelle cattive, possiamo scrivere il futuro di un bambino. Grazie alle nostre scelte virtuose, sarà più resiliente a tante patologie, specialmente a quelle cronico degenerative. Dirò di più: oggi stiamo comprendendo che l’imprinting che possiamo dare ai nuovi nati risale addirittura a prima del suo stesso concepimento: nel periodo peri-concezionale c’è già un passaggio che può essere di salute o di malattia”.

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Oggi le diete sono grandi protagoniste, e sappiamo per esempio che una donna nell’età dello sviluppo, o in gravidanza, o in menopausa ha diverse necessità.

”È così. Il modello femminile – meno sfumato di quello maschile – si presta in modo più marcato all’osservazione longitudinale, grazie a tappe fisiologiche ben definite che si riflettono sui fabbisogni nutrizionali e sui fattori di rischio. Il corpo femminile racconta, attraverso le sue fasi biologiche, una storia di fabbisogni mutevoli e vulnerabilità specifiche: riconoscerle è il primo passo per una medicina davvero personalizzata.
Già a partire dal menarca, si osserva un aumentato fabbisogno di ferro legato alle perdite mestruali, che rende le adolescenti più esposte a carenze rispetto ai coetanei maschi. Durante l’età riproduttiva, e in particolare nel periodo della gravidanza e dell’allattamento, i fabbisogni nutrizionali cambiano in modo sostanziale: aumentano le richieste di energia, proteine, ferro, calcio, acido folico e altri micronutrienti essenziali per sostenere la crescita fetale e la salute materna. Anche in questa fase, la qualità dell’alimentazione ha un impatto cruciale sulla salute futura della madre e del bambino. Successivamente con l’arrivo della menopausa, aumenta il fabbisogno di calcio e di vitamina D per contrastare il maggior rischio di osteoporosi. Nello stesso periodo, il calo degli estrogeni modifica la composizione corporea, con un incremento del grasso viscerale e un cambiamento del profilo metabolico. Tutto ciò comporta un’evoluzione sia dei fattori di rischio che dei bisogni nutrizionali, che la medicina non può più permettersi di trascurare”.

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Una relazione virtuosa: salute, dieta e biodiversità

In che modo salute, nutrizione e biodiversità sono intrinsecamente legate?

”Quando portiamo la biodiversità della natura nel piatto, otteniamo una varietà di alimenti, di origine vegetale e animale, che arricchisce anche la varietà di nutrienti e la “biodiversità” nel nostro intestino. I microbi che vivono nel nostro intestino, il cosiddetto microbiota, giocano un ruolo fondamentale sul nostro benessere globale. Ma biodiversità va riferita anche all’ambiente in cui passiamo le nostre giornate, l’esposoma esterno. Le piante ci forniscono un’aria più pulita, rumori attutiti, e camminate piacevoli. Muoversi in un contesto ricco di biodiversità, o anche prendersi cura delle piante, migliora il nostro umore, favorisce il benessere mentale, e potenzia anche le nostre performance cognitive”.

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Mangiare meglio, meno stressati, fare movimento – questo non è oggi alla portata di tutti.

”No, non lo è. Ma gli abitanti delle Blue Zones (le aree geografiche in cui la popolazione vive più a lungo e in salute rispetto al resto del mondo, caratterizzate da un’alta longevità e da una bassa incidenza di malattie croniche, ndr) ci dimostrano che questo è possibile. Certo, il loro modello non è replicabile in tutto il pianeta, ma oggi le evidenze scientifiche ci dimostrano che con la lifestyle medicine uomo e natura possono vivere bene integrati. Ciò di cui abbiamo bisogno sono politiche urbanistiche e sociali che diano importanza alla salute di tutti. “Global Health” significa questo, ed è un concetto solido non solo da un punto di vista intellettuale ma anche etico. Ed è pure economicamente vantaggioso: se investiamo in prevenzione, risparmieremo sia in terapie che in costi indiretti. Una popolazione sana è più produttiva. Ora si tratta di dare inizio a un circolo virtuoso”.

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Stare bene: un diritto di tutti

La ricezione di questa call for action è una questione di cultura?

”Sì, ma non solo di cultura top-down. La gente deve essere consapevole del fatto che stare bene è un suo diritto, e questo deve comprenderlo anche la politica. Perché succeda questo, dobbiamo investire anche in comunicazione e divulgazione. Se tutti sapessero che dai fattori ambientali dipende il nostro stato di salute o di malattia, e se tutti conoscessero l’impatto positivo della lifestyle medicine, lo chiederebbero a gran voce. E allora sì che questa rivoluzione culturale diventerebbe realtà”.

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Torniamo alle diete. Esiste quella giusta?

”Una dieta ricca di diversi alimenti – soprattutto vegetali, come frutta, verdura, cereali integrali, legumi e spezie – favorisce l’equilibrio del nostro organismo: ci dà energia, migliora la digestione, riduce l’infiammazione e modula l’umore attraverso l’asse intestino-cervello. Più biodiversità c’è nel piatto, e più offriamo al corpo e alla mente ciò di cui ha bisogno per funzionare al meglio. Un’alimentazione monotona, al contrario, anche se sufficiente da un punto di vista energetico (solo riso, oppure solo patatine e hamburger, per fare degli esempi), non permette di soddisfare tutti i fabbisogni nutrizionali oltre a ridurre la “diversità” microbica del nostro intestino e favorire disturbi intestinali, metabolici, immunitari e anche mentali. La dieta mediterranea, con il suo modello di cucina familiare, a km 0, con cibo non processato, è un esempio veramente solido – mentre gli alimenti che consumiamo oggi, con elevata densità energetica e basso apporto nutrizionale, sono la conseguenza del nostro assetto sociale ed economico. Oggi non si tratta di tornare indietro, bensì di reinventarci un sistema sostenibile e adattarlo ai contesti urbani, che continueranno ad espandersi”.

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Dove è possibile reperire indicazioni per una corretta alimentazione?

“Un buon riferimento può essere il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ente nazionale di ricerca vigilato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, ndr) che redige le “Linee guida per una sana alimentazione”, reperibili online. Un altro approccio interessante, di cui si può leggere sul web, è quello della Planetary Diet messa a punto da Walter Willet, epidemiologo dell’Università di Harvard. Oltre a promuovere un’alimentazione plant based, cioè basata principalmente su prodotti della terra stagionali, minimamente processati, Willet ci ricorda che possiamo nutrirci bene senza eccessivo impatto sul pianeta”.

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Qualche consiglio sull’attività fisica?

“Lo dà l’Associazione internazionale sulla ricerca dei tumori (IARC, International Agency for Research on Cancer), che ha dimostrato che tutti dovremmo fare almeno 150 minuti di attività fisica alla settimana. Con il passare degli anni, questa attività fisica deve essere sia aerobica che anaerobica, per migliorare il tono cardiovascolare e prevenire la sarcopenia, ovvero la perdita muscolare. Ma anche questo aspetto è legato alle politiche ambientali, sociali ed economiche: attività fisica non vuol dire solo andare in palestra due volte in settimana – anche perché non tutti se la possono permettere – ma soprattutto significa ridurre la sedentarietà. Se passo il giorno intero davanti al computer come se fossi su una sedia a rotelle, e dopo il lavoro mi rilasso sul divano, la salute ne risente. Se invece costruisco un contesto che facilita comportamenti virtuosi, è molto probabile che le persone li adottino spontaneamente”.

"Stare bene è un diritto. Dai fattori ambientali dipende il nostro stato di salute o di malattia. La lifestyle medicine può cambiare le cose."

Hellas Cena

La lifestyle medicine può essere di interesse per il mondo del business?

“Certamente, sia direttamente che indirettamente. Penso ai pacchetti promossi dalle Regioni per la salute dei lavoratori, o al mondo della medicina del lavoro. Ma anche al fatto che le aziende ci guadagnano in ogni caso: dipendenti più in salute lavorano meglio, sono più focalizzati, aumentano la produttività e si ammalano meno. Essere in salute dà impulso anche alla socialità, e dove c’è socialità nascono idee innovative. Ma c’è di più. Oggi, investire in benessere non è solo una scelta etica, è anche una strategia competitiva. Le aziende che promuovono la salute attraverso ambienti favorevoli, ritmi sostenibili, alimentazione sana e attività fisica sono più attrattive per i talenti, soprattutto tra le nuove generazioni. Inoltre, riducono significativamente i costi legati ad assenteismo, stress cronico e turnover. La lifestyle medicine può diventare una leva potente all’interno dei programmi di welfare aziendale, contribuendo anche agli obiettivi DSG – perché prendersi cura delle persone è parte integrante della sostenibilità. E in un contesto economico che cambia rapidamente, l’innovazione richiede lucidità, capacità decisionale e stabilità fisica ed emotiva”.

Protagonisti dell’intervista

Hellas

Cena

  • Medico chirurgo e specialista in scienza dell’alimentazione
  • Spoke 6 “Biodiversità e benessere”
  • hellas.cena@unipv.it Copia indirizzo email

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